Michael Kenna nasce a Widnes, Lancashire (Inghilterra) nel 1953. Dopo avere a lungo sognato di dedicarsi alla pittura, studia fotografia al London College of Printing. Nel 1975 la mostra The Land, a cura di Bill Brandt, al Victoria and Albert Museum di Londra gli rivela le straordinarie possibilità della fotografia artistica; oltre a Brandt, Kenna riconosce di avere guardato con interesse a Atget, Emerson, Saudek, Bernhard, Callahan, Sheeler, Stieglitz. Alla fine degli anni Settanta, Michael si trasferisce negli Stati Uniti, e va a vivere a San Francisco – in seguito, abiterà prima a Portland e poi a Seattle, dove attualmente risiede. A San Francisco incontra Ruth Bernhard (1905-2006), sensibile fotografa di nudi e di nature morte, della quale diventa assistente, aiutandola nella stampa delle sue immagini e maturando una grande esperienza in camera oscura, che nitidamente si rivelerà nel tempo in tutto il lavoro di Kenna.
Pressoché dagli esordi, Michael sceglie il paesaggio come tema elettivo delle sue fotografie, avviando una infaticabile ricognizione sugli infiniti volti segreti del pianeta, e arrivandone a toccare tutti i continenti; gli esiti di questi viaggi e soggiorni, determinati da commissioni o da scelte personali, vengono documentati in alcune monografie specifiche e nei cataloghi delle mostre a lui dedicate. Tra le tante esposizioni che si sono tenute in spazi pubblici e in gallerie private, ricordiamo quelle in vari musei francesi, statunitensi, giapponesi – ultima quella alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi nel 2009. Kenna è un mediatore, uno straordinario traduttore poliglotta capace di comprendere e immedesimarsi in luoghi e culture così lontani da apparirci spesso scontati anche a causa delle migliaia di immagini-clone che quotidianamente si impongono ai nostri occhi e inaridiscono la nostra immaginazione invece di stimolarla. Un artista capace di rinunciare alla velocità per sintonizzarsi su canali di pacifica e rispettosa convivenza con i luoghi da lui visitati e studiati. Lontano da periodi e da orari dettati da quegli automatismi che ci portano a muoverci tutti contemporaneamente e convulsamente, per farci scoprire ciò che non abbiamo mai avuto nemmeno il tempo di notare. Lontano dall’inquinamento visivo e acustico delle metropoli per riscoprire luoghi e rumori ormai dimenticati. Da cercare e ascoltare, non da subire. Michael Kenna guarda a questi luoghi da inaspettati punti di vista fisici e mentali e lo fa muovendosi in certi momenti della giornata in cui la luce deve ancora manifestarsi per plasmare quei soggetti che sono solo dei concetti immateriali e praticamente invisibili. Il linguaggio di Michael Kenna è fuori dalle mode, non “fuori moda” solo perché, come alcuni asseriscono, romanticamente ancorato alla fotografia analogica e non ancora catapultato nel mondo del digitale. Anche se entrambe le vie portano a risultati potenzialmente simili e comunque emozionanti, egli sceglie la via della riflessione e dell’argento a quella dell’impetuosa cavalcata sull’onda dei pixel. Con il tempo si è forgiato uno stile indiscutibile e inconfondibile, osservando il mondo con lo sguardo dello scultore che di fronte al blocco di marmo sa già dove vuole arrivare ma sa anche che quello che sta per intraprendere sarà un lungo e difficile percorso. Dalla penombra dei luoghi in cui fisicamente si trova, Kenna parte per un viaggio che non si esaurisce mai dopo i suoi lunghi click ma continua anche più tardi in un luogo altrettanto buio, la Camera Oscura, dove alla flebile presenza di una lampadina rossa il fotografo si trasforma in stampatore per rivedere e ridonare nuova luce a ciò che aveva già osservato. O forse solo immaginato. |